Le murature megalitiche dell’Amiternino – La “Murata del Diavolo”

L’alta valle dell’Aterno, oltre le monumentali rovine di Amiternum, apparentemente non presenta importanti resti archeologici. Ma con uno sguardo più attento si possono scorgere, appena celate sotto la terra o in folti boschi, tracce che meriterebbero un approfondimento.
Un esempio è rappresentato dai resti di mura megalitiche presenti appena fuori della città dell’Aquila, in una selvaggia e stretta forra situata poco sopra l’abitato di Canzatessa (nota 1). Qui sono ancora visibili alcune antiche strutture chiamate “Murata del diavolo”, non molto ben conosciute e studiate se si eccettuano i lavori fatti nei due secoli passati dagli studiosi Giuseppe Simelli (nota 2) e Niccolò Persichetti (nota 3) a cui questo breve saggio si riallaccia idealmente.
Le mura megalitiche sono un modo di costruire molto particolare caratterizzate dalla solidità del manufatto. Esse sono indicate anche come “poligonali” e “ciclopiche” per la loro tipica forma e per gli enormi blocchi a volte pesanti diverse tonnellate. Questa singolare tecnica edilizia si è sviluppata in particolar modo nell’Italia centrale parallelamente a molti altri luoghi del Mediterraneo, utilizzando la pietra calcarea, materiale che ben si adatta allo scopo.
Anche i Romani utilizzarono massicciamente questa tipologia edilizia, grandi esempi si possono ancora vedere nelle sostruzioni stradali delle vie Salaria (nota 4), Tiburtina (nota 5) e Appia (nota 6) o nelle mura di grandi città come Alba Fucens o Cosa.
Con la fine dell’età repubblicana quest’opera muraria non venne più utilizzata venendo sostituita, anche in questi territori, dall’opera quadrata di certo di più facile lavorazione. Ma la sua trasposizione dal verticale all’orizzontale è continuata per centinaia di anni e la si può ancora osservare semplicemente guardando i lastricati stradali romani. In essi l’opera poligonale, per la sua semplicità e resistenza, venne utilizzata fino alla caduta dell’impero (nota 7).
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Note
1 Provenendo dall’Aquila, all’altezza del km 6 della SS 80, si nota sulla destra la piccola catena calcarea del Monte Pettino culminante nell’omonima cima di m. 1147. Vi sono solo due passaggi in queste montagne uno di questi è la valle della Murata dove sono presenti i resti. IGM f.139 L’Aquila II SE.
2 G. SIMELLI, Giornale Itinerario, Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte Roma – Fondo Lanciani 66, 1810-1815, p. 21 ss., tavv. V-V bis-VI-VII. Manoscritto.
3 N. PERSICHETTI, Avanzo di costruzione pelasgica nell’agro amiternino detto Molino del Diavolo, estratto dal Bullettino dell’imp. Istituto Archeologico Germanico Vol. 2 anno VII – 1902 – fasc. 2 pp. 134-148.
4 N. PERSICHETTI, Viaggio archeologico sulla via Salaria nel circondario di Cittaducale, Roma 1893, p. 56 (muraglioni di sostegno della via Salaria in opera poligonale, a circa 6,5 km da Antrodoco direzione Ascoli).
5 Sostruzioni poligonali della via Valeria, poco dopo il paese di Colli di Monte Bove al Km 85 circa.
6 Sostruzioni poligonali della via Appia, tra Terrracina e Fondi.
7 Una riflessione sulle caratteristiche tecniche delle mura megalitiche la si può trovare in G.MAGLI, I segreti delle antiche città megalitiche, Roma 2007, p. 13 ss.
“L’opera poligonale si basa sulla conoscenza e sull’applicazione di principi fisici che non vengono sfruttati nell’opera quadrata. […] Per descrivere le caratteristiche peculiari e inconfondibili di un muro poligonale è interessante partire dalla seguente osservazione: quando una persona che non ne ha mai visti se ne trova davanti uno per la prima volta rimane senza parole. Il motivo è che l’occhio tende in modo naturale a scegliere uno dei piani di posa, e a seguirlo. Poiché però i piani di posa sono ondulati, la muratura sembra muoversi senza soluzione di continuità nella direzione opposta a quella della pendenza naturale: un muro poligonale mentre scende sale. Si tratta di un effetto estetico di una bellezza straordinaria che però ha anche profonde motivazioni tecniche. Infatti i blocchi “aggettano” (cioè sporgono) l’uno sul successivo in controtendenza. Questo conferisce alla struttura una solidità che non avrebbe se fosse costruita con piani orizzontali, e si può quindi dire che l’opera poligonale segue dei criteri antisismici.
[…] Le antichissime mura poligonali di Alba Fucens resistettero al terribile terremoto della Marsica del 1915, mentre i circostanti paesi moderni venivano letteralmenterasi al suolo. […]. Un’altra caratteristica singolare della muratura poligonale è la seguente: in base ad un principio fisico che i costruttori evidentemente conoscevano perfettamente, è opportuno disporre blocchi molto pesanti (e quindi molto grandi) in alto, e quindi non nel modo più comodo. Infatti posizionando blocchi enormi in alto si ottiene un effetto detto di pre-compressione”.
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Dei tempi preromani ad Amiternum non rimangono avanzi visibili, il fittissimo uso del territorio, abitato continuativamente sin dai tempi protostorici, insieme ai terremoti che come ben noto sono stati spesso parossistici e distruttivi, hanno cancellato del tutto le tracce delle costruzioni sabine.
Costruzioni che esistevano sicuramente dato che Amiternum è nominata dagli antichi scrittori sia come importante centro sabino e da Livio come conquistata dai romani. Anche la necropoli scoperta recentemente nell’area industriale di Pizzoli, nei pressi di Cavallari, indica l’antica frequenza del territorio almeno ai secoli VIII-VII a.C. (nota 8). Quindi lascia un poco sconcertati la mancanza totale sul colle di San Vittorino, sicura sede dell’antico vicus sabino, di qualunque resto di costruzione non solo preromana ma anche romana. Anche l’archeologo inglese Dodwell (nota 9), nelle sue ricognizioni archeologiche nell’estate del 1830, non trovò nessuna traccia di mura sul colle. Al momento le uniche vestigia qui visibili sono i pochi resti della torre normanna sorta sulla probabile arx cittadina e alcune tagliate della roccia immediatamente sotto la cima del colle in direzione nord-ovest. Tutto ciò confermerebbe quanto scritto dagli antichi autori sugli abitati sabini, ossia la mancanza per essi di mura urbiche. Anche la città romana, distesa nella pianura a cavallo del fiume Aterno, apparentemente non mostra tracce di esse. Di certo è difficile pensare che il nucleo preromano, situato sulla cima del colle, non avesse una cinta muraria, e solo l’intenso reimpiego del materiale antico, sia ai tempi dei romani che nel medioevo, potrebbe giustificarne la scomparsa, sicuramente dei sondaggi intorno al colle potrebbero esserci d’aiuto (nota10).
L’unica testimonianza comunque di costruzioni apparentemente italiche (nota 11) nei dintorni dell’antica città è la cosiddetta “ Murata del diavolo” conosciuta anche come “Mulino del diavolo” o “Murata delle fate”, nomi con cui nel medioevo si indicavano spesso grosse ed antiche costruzioni che l’immaginazione popolare indicava fatte dal demonio o da altri esseri soprannaturali.
L’imponente opera muraria è situata sul fosso omonimo a pochi chilometri da San Vittorino nel territorio del comune dell’Aquila (nota 12). Il fosso della Murata insieme al vicino fosso Marine sono gli unici due passaggi della piccola catena del Monte Pettino che si stempera nei colli dietro a S.Vittorino (nota 13). (Fig. 1)
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Note
8 Un doveroso ringraziamento va al compianto amico prof. Giuseppe Navarra che tanto si prodigò per la protezione del sito, la sua opportuna segnalazione alla Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo, nella persona della dott.ssa Rosanna Tuteri, permise il ritrovamento dell’importante fibula bronzea presentata recentemente sul “Giornale dei Musei d’Abruzzo MU6” n.10.
9 Edward Dodwell, archeologo inglese nacque nel 1767, si stabilì molto presto a Roma, da dove partiva per le sue numerose escursioni alla scoperta delle murature poligonali del centro Italia. Memorabile il suo viaggio in Sabina nell’estate del 1830 dove disegnò moltissimi siti con mura poligonali.
10 M. HEINZELMANN in: Hefte Des Archelogischen Seminars der Universitat Bern – HASB 2007 p. 86. Nel testo vengono riportati i risultati di alcuni recenti rilevamenti elettronici eseguiti dall’equipe dell’Università di Berna. In particolare immediatamente all’est della chiesa di San Vittorino sono state rilevate alcune forti anomalie del terreno che vengono interpretate come possibili tracce di mura.
11 Così le indica il Persichetti, ma rimangono tutti i dubbi del caso senza un approfondito rilievo archeologico.
12 Fino al 1927 la parte terminale di questo fosso segnava il confine tra il territorio di San Vittorino, facente parte in quei tempi del comune di Pizzoli, ed il comune dell’Aquila, mentre il territorio dell’allora autonomo comune di Arischia si fermava poco più in alto. Il Persichetti, nell’opera citata, riferiva dell’esistenza, sul colle della Colonnella situato nei pressi della Murata, di un cippo di confine. Su questa pietra era scolpito da un lato lo stemma di San Vittorino “sulla faccia che guarda a mezzogiorno” mentre sulla faccia a nord presentava lo stemma della mezzaluna e la stella che come noto era il simbolo del comune di Arischia. Invano ho ricercato sul colle questa lapide ma di essa non si rinviene traccia. Il fosso della Murata, molto selvaggio e scosceso, si può raggiungere dall’Aquila attraverso la S.S. 80, girando, poco dopo il bivio di Canzatessa, in via Martin Luther King in direzione del Casino del Barone d’Arischia. Dall’antico casale inizia una ripida sterrata la cosidetta “via antica Arischia”, la si segue tenendo sempre sulla destra il colle, in breve si arriva ad una selletta dove girando sulla destra e ridiscendendo per un poco visibile sentiero si arriva in poco tempo ai resti.
13 Il fosso lungo circa 4 km e normalmente asciutto nasce nella vallata di Cascio, delimitata a nord dal Pago Martino ed a sud dal Monte Pettino, passa quindi nei pressi dell’antico monastero di San Severo, scendendo nella forra omonima dove vi è il maggior dislivello. Nella carta geologica d’Italia 1:100.000 foglio “L’Aquila”, la valle di Cascio è indicata come deposito alluvionale risalente al Quaternario, la parte finale, dove sono presenti i resti, è di natura calcarea e la potente falda detritica, iniziante alla fine del fosso, arriva fino all’Aterno, qui passa anche la faglia del Monte di Pettino. Verosimilmente i massi, usati per la costruzione, sono stati cavati poco sopra.
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Come accennato il nostro sito venne indagato a fondo, nei secoli scorsi, dai due studiosi Simelli e Persichetti.
L’importante lavoro del Simelli (nota 14), non pubblicato, si è salvato in modo fortunoso, i suoi manoscritti e disegni vennero recuperati alla sua morte dall’insigne archeologo Rodolfo Lanciani e da lui passarono al fondo omonimo della Biblioteca di Archeologia e Storia dell’arte di Roma (nota 15).
Questi appunti sono una fonte preziosa sia per i disegni che per le notizie in essi contenuti, non solo per la Murata ma anche per la città di Amiternum, facendo una fotografia precisa dei monumenti come si trovavano in quei tempi (nota 16).
Nella pagina 10 del suo manoscritto, riporta la descrizione solo del terzo muraglione, quello situato più in basso, che viene indicato come irregolare e seguente le sinuosità del fosso e il livello del terreno. Le pietre sono descritte come grossolane e appena sbozzate ed alcune molto grandi. Il muro viene indicato profondo circa due metri e costituito da due blocchi paralleli. Dopo aver escluso varie ipotesi il Simelli ritiene che la costruzione sia stata eretta come confine tra i sabini e vestini (nota 17). (Fig. 10)
Venti anni dopo, nel 1830, questo luogo fu percorso dall’archeologo inglese Dodwell assieme all’architetto Vespignani, che disegnò in modo più accurato il secondo e terzo muraglione, non si notano, comunque, grosse differenze dai disegni del Simelli (nota 18). (Fig. 11)
Nel 1900 il grande archeologo inglese Thomas Ashby fece un viaggio nell’aquilano, immortalando per la prima volta la valle del fosso della Murata. Nella foto si vede, anche se da lontano, il terzo muraglione (fig.14) (nota 19).
Infine nel 1902 venne pubblicato il fondamentale lavoro (nota 20) dell’archeologo Niccolò Persichetti, pare opportuno riportarne un brano (nota 21):
“ […] A circa due chilometri da San Vittorino, verso oriente, ed a sei chilometri circa a nord ovest dell’Aquila, all’estremo ed alto imbocco di una strettissima gola che divide il colle dei Busci (bossi)
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Note
14 Giuseppe Simelli nacque a Stroncone (TR) il 6 agosto 1777, valente architetto visse a Viterbo e a Roma dove morì, le sue carte furono per la maggior parte disperse. (dal Persichetti).
15 Questo lavoro non venne preso in giusta considerazione, forse anche per il periodo storico turbolento e non venne pubblicato; gli atti ufficiali dovrebbero essere ancora a Parigi presso “L’Academie des Iscriptionis et des Belles Lettres” . Gli appunti, come detto, si trovano presso la “BIASA” di Roma.
16 Le notizie su una statua colossale ritrovata lungo l’Aterno sono molto interessanti in quanto confermano che la scultura femminile attualmente al Fine Art’s di Boston è effettivamente amiternina.
Pag. 17 “ […] Poco tempo addietro presso il fiume è stata cavata una statua colossale di donna sedente, marmo statuario, di bellissimo panneggiamento, manca della testa che fin dalla prima origine si vede riportata, manca delle spalle, abbraccio sinistro, della metà del braccio destro e della punta dei piedi, sporgenti fuori del panneggiamento la scultura, ed il disegno sono bellissimi. […] ” . (Questa statua alta m 1,88 in marmo di Carrara e raffigurante la dea Cibele venne portata via nel 1898 dal Warren). Si menzionano anche l’anfiteatro, il ponte da poco scomparso sull’Aterno e la chiesa di Santa Maria ante Civitatem.
17 “Nella gola di due montagne che sono all’oriente di Amiterno, circa due miglia distante e precisamente sul confine del territorio di San Vittorino con quello dell’altro villaggio di Coppido, vi è l’avanzo di un gran muraglione antichissimo senza cemento di costruzione ciclopica, conosciuto volgarmente col nome La Murata…”
18 Bullettino di corrispondenza archelogica anno 1831, p. 43 ss., nella lettera ivi riportata William Gell, noto archeologo, fa un resoconto del viaggio del Dodwell in Sabina, è l’unica testimonianza su di esso data la prematura morte del Dodwell. Nel 1834, nel suo libro The topography of Rome and it’s vicinity, London 1846, Gell ritorna sull’escursione del Dodwell a San Vittorino e sulle mura poligonali che indica costruite per fortificare un passo.
Le centinaia di tavole disegnate dal Dodwell e dal Vespignani sono presso il Museo Soane’s House di Londra e sono inserite in tre volumi, il primo per i disegni finiti e gli altri due per gli schizzi originali. La “Murata” venne disegnata in due tavole, si è riusciti a ritrovare i disegni originali, presso quel museo, grazie alla collaborazione del personale di esso. I disegni sono presenti nel primo volume alla tavola LXX e nel secondo al numero 236. La tavola riportata è la LXX (fig 11), in cui sono riportati col numero 1 “Murata del diavolo due miglia distante da S. Vittorino verso l’Aquila” al numero 2 la “sostruzione della via Salaria Verso Antrodoco”, il disegno 236 è sostanzialmente uguale al primo. La tavola sembra essere comunque stata disegnata dal Vespignani. Certamente sarebbe un opera meritoria la pubblicazione completa di questo inedito lavoro del Dodwell e del Vespignani.
19 Oltre alla “Murata del diavolo” fotografò sia luoghi storici che momenti di vita dell’ aquilano di quel periodo (mercati, fiere). Vennero fatte diverse foto anche dell’anfiteatro e del teatro romano che era stato da poco riportato alla luce dall’Ausiello.
Di norma l’Asbhy faceva dei resoconti dei suoi viaggi, ma presso quell’Istituto non risultano gli atti di questo viaggio.
20 Vedi nota 3.
21 (L’Aquila 1845 – Roma 1915) nobile aquilano e grande studioso di archeologia, si devono a lui, tramite un lavoro certosino svolto duramente sul campo per decenni, moltissime notizie sui ritrovamenti nell’amiternino e sulle strade romane del circondario. I suoi lavori documentati sia attraverso libri che su “Notizie degli Scavi”, sono opere fondamentali per chi vuole intraprendere uno studio dell’antica città e del suo circondario. Nel suo palazzo dell’Aquila si conservano ancora molte opere antiche ritrovate in quegli anni nell’amiternino.
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dai prospicienti colli d’Ottone e della Colonnella , sorgono gli avanzi del suaccennato Molino del Diavolo, consistenti in tre tratti, non perfettamente orizzontali ne’ paralleli ma scendenti a gradoni, di alti e robusti muraglioni, a grossi massi poligoni, traversanti il letto del burrone e con le testate appoggiatisi sulle opposte pendici dei due colli laterali. Quello di Busci ha la sua lacinia occidentale ripidissima quasi a picco; sicchè i muraglioni vi facevano una piccola presa, mente il colle d’Ottone, scendendo in quel punto a valle con dolce declivio, sosteneva sul suo fianco meridionale i tratti più lunghi dei muri medesimi; tratti che, essendo più discosti dal burrone e poggiati sopra fondamenta più spianate e meno danneggiate hanno potuto resistere meglio all’impeto degli alluvioni ed arrivare sino a noi in migliore stato di conservazione. Ond’è che sulla falda del colle dei Busci è rimasto appena qualche miserabile resto delle testate di detti muri; sul colle d’Ottone invece ne avanzano tratti più lunghi ed imponenti. Non occorre poi dire che quelli traversanti il fosso, per tanti secoli soggiacenti alle violenze di terribili piene e privi di ogni manutenzione sono stati travolti. […]”. Si continua con la descrizione dei muraglioni: il primo, (Figg. 2-4) ossia quello più in alto è all’imbocco del fosso ed era lungo all’epoca 39,60 m, con un’altezza di 4 m. Costruito con pietre locali calcaree era composto di sei fila di blocchi sovrapposti irregolari, della sesta fila ne restava solo un concio mentre alcuni massi giacevano intorno e nel burrone. I blocchi erano disuguali, ma la maggior parte di essi erano di forma quadrangolare e scalpellati su tutti i lati. Questo muraglione si trovava in una posizione quasi pianeggiante, presso la contrada detta “Le Fiocare”. Nel lavoro del Persichetti si ricorda uno scavo clandestino di contadini “ […] sulla ima falda del colle dei Busci […]” (nota 22), in cui rinvennero anche alcuni muri e pavimenti in cocciopesto. Certamente nei tempi antichi questa zona doveva essere fittamente coltivata ed abitata ed i ripetuti alluvioni potevano fare gravi danni (nota 23).
Il Persichetti dubitava sull’appartenenza del muro al periodo italico in quanto appartenente all’“opus quadratum pseudoisodomum” ossia di transizione tra le mura con paramento a poligoni e quello a filari eguali di conci rettangoli (opera quasi quadrata – III maniera del Lugli) (nota 24).
Il secondo muraglione viene indicato a 21 m a valle del primo e costruito in maniera grezza con massi solo leggermente appianati nella parte esteriore, ne restavano pochi avanzi sul colle d’Ottone con cinque fila di blocchi lunghi 3 m e alti 2 e nella parte opposta i resti erano lunghi circa 10 m.
Il terzo muraglione, che veniva descritto come stupendo, risultava lungo 20 m, ed alto circa 8,5 m con 13 fila di blocchi colossali, la parte attraversata dal fosso era scomparsa. Il muro serpeggiante seguiva le sinuosità del fosso a differenza degli altri due che erano rettilinei. I massi, grezzi ed assai grandi, erano disposti su due file di blocchi enormi in modo da opporre maggior resistenza all’impeto delle acque, questo particolare era già stato notato dal Simelli. Questo muraglione, assieme al secondo, viene attribuito dal Persichetti al periodo italico.
Poi l’autore descriveva anche degli avanzi di murature che partendo dalle testate del suddetto muro salivano lungo i due colli per andare a terminare sul primo muraglione dando all’intera figura una forma quadrilatera (nota 25).
Tra il primo ed il secondo muraglione trovò anche i resti di una cameretta circolare di calcestruzzo.
Di seguito, commentando il manoscritto del Simelli, notava che questi aveva descritto forse solo l’ultimo muraglione che era indicato come più imponente dei suoi tempi. L’ipotesi costruttiva prospettata dal Simelli, ossia di muro di confine tra Sabini e Vestini, veniva indicata dal Persichetti
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Note
22 Questo colle è alla sinistra idrografica del fosso e non è più indicato nelle carte moderne insieme al dirimpetto colle d’Ottone. Il luogo del ritrovamento presumibilmente è poco sopra l’imbocco della forra. Degli abitanti del luogo hanno confermato quanto indicato dal Persichetti, segnalando dei resti di costruzioni sulla pianura delle Fiocare, poco sopra il primo muraglione.
23 Alcuni agricoltori hanno segnalato che in occasione di forti piogge la portata del fosso, normalmente in secca, diventa minacciosa per la quantità d’acqua e detriti. Del resto in buona parte dell’Alta Valle dell’Aterno sono note le violente piene in caso di nubifragi che per il forte dislivello e per la natura dei terreni possono portare a valle una grande quantità di detriti. Ad esempio si possono vedere nelle montagne di Pizzoli le moderne dighe e briglie, in questo caso di cemento armato, costruite per arginare la furia delle acque meteoriche.
24 Giuseppe Lugli nella sua monumentale opera La tecnica edilizia romana, Roma 1957, descrisse con molta cura le mura megalitiche ricavando quattro classificazioni in base all’accuratezza dell’opera.
25 Esistono dappertutto file di macerie di cui non si può dare una datazione precisa, alcune di esse sembrerebbero dei muretti eretti dai contadini nella loro secolare ripulitura dei campi.
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come fantasiosa (nota 26). Infine si descrivono tutte le possibili ipotesi sull’uso del manufatto, arrivando per esclusione all’ipotesi più verosimile ossia di briglie di contenimento delle acque, dato che è difficile immaginare un fortilizio in una posizione del genere ossia a cavallo di una stretta e ripida valle attraversata da un fosso impetuoso (nota 27).
Il primo muraglione veniva attribuito all’età romana e gli altri due al periodo italico.
Provenendo dall’itinerario indicato nella nota n. 12 incontriamo la prima struttura, quella posta più in alto, a circa 780 m d’altezza. Si nota l’impressionante cambiamento della vegetazione dai tempi dell’Ashby (anno 1900), allorché tutta la zona era brulla, segno del continuo pascolare degli armenti e dell’intenso sfruttamento delle zone boschive in un tempo in cui la legna era l’unico combustibile.
Nella foto dell’Ashby la “Murata” spicca sul quel paesaggio arido in tutta la sua imponenza. (Fig. 14)
Ora tutta l’area è completamente abbandonata, la vegetazione ha ripreso il sopravvento, con una fittissima selva di rovi ed altre piante che rendono difficoltoso anche il solo arrivare ai resti murari.
Sulle cime dei colli sono stati impiantati dei boschi di conifere con dei risultati non sempre felici. Di questa struttura, situata immediatamente sotto la cima del Colle d’Ottone (nota 28) e poco sotto l’imbocco della forra, sono conservate ancora le sei fila di grandi massi descritti dal Persichetti. Comparando le foto scattate dal Persichetti (Fig. 2) con le attuali (Fig. 4), si evidenzia la mancanza di alcuni blocchi ma sostanzialmente il muro appare ancora in un discreto stato di conservazione, anche se si notano dei crolli recenti nel tratto iniziale dove rimangono solo due fila. L’altezza del muro nel punto più alto è di circa quattro metri. I conci sono di forma grosso modo rettangolare, tutti diseguali e non legati da malta, man mano che si sale aumentano le irregolarità e la grandezza dei massi.
L’ultimo concio superstite della sesta fila è più grande degli altri e per il fenomeno della precompressione regge ancora col suo peso i sottostanti, ha una forma più irregolare avvicinandosi alla poligonia. All’altezza della terza fila si nota un cedimento dei massi per la spinta del terreno retrostante segno di un possibile crollo futuro. Le pietre sono tutte scalpellate sia sulla faccia a vista che nei lati interni, il materiale è il calcare locale. Nel sottostante fosso si nota un blocco di roccia al naturale bianchissimo e levigato dallo scorrere delle acque. I piani di posa presentano altezze variabili ma seguono una certa linearità tranne in alcuni punti in cui, per la diversità dei massi, si è provveduto a fare degli incastri perfettamente combacianti. La costruzione, con i dubbi del caso, potrebbe essere attribuita al periodo repubblicano e si potrebbe ascrivere al terzo ordine del Lugli. Sulla ripida parete dell’altro colle non sembra che vi siano resti, come invece affermato dal Persichetti, ma la folta vegetazione non permette un sopralluogo efficace.
Un particolare della muratura è che non è trasversale al fosso ma è in linea col pendio della collina di cui segue un lungo tratto in orizzontale configurando, quindi, un possibile terrazzamento del colle sovrastante (nota 29). Dietro il muro si nota ancora il riempimento di pietre minute. Il Persichetti, in diverse sue opere, definisce questo tipo di murature “opus quadratum pseudoisodomum” e dei muraglioni simili, usati come sostruzioni stradali, si rinvengono lungo il presunto percorso della via Cecilia, questi resti si trovano presso il cosiddetto “Ponte Nascoso” (Fig. 5) vicino a Civitatomassa (nota 30) e lungo il Vomano nella località di Paladini (nota 31) (Tottea-TE) (Fig. 12). Un altro singolare esempio di struttura megalitica è presente nella stessa città dell’Aquila nei pressi del piazzale della stazione ferroviaria.
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Note
26 Comunque a giustificazione del Simelli si deve, ad onor di cronaca, riferire che l’ipotesi sopra indicata sembra essere stata suggerita dal Martelli che riferì la scoperta nel luogo di una iscrizione, ritenuta falsa, indicante “Finis Sabinorum”.
27 Del resto le murature poligonali in Sabina e nella bassa Umbria spesso sono utilizzate a questo scopo, differenziandosi da quelle del basso Lazio e della Marsica che sono quasi sempre utilizzate come cinte murarie.
28 Questo colle, isolato tra la pianura delle Fiocare e la discesa verso l’Aterno, culmina in due piccole alture a circa 820 m d’altezza, esso ha un singolare pianoro in cresta che sembrerebbe particolarmente adatto ad ospitare una fortificazione. Durante una veloce ricognizione ho rilevato diverse tracce di murature a secco non particolarmente significative.
29 Nelle foto scattate dall’Asby nel 1900 si nota che il muraglione sostiene ancora i sovrastanti terreni coltivati . (fig. 14)
30 N. PERSICHETTI, op. cit, vedi nota 4. p. 129.
31 N. PERSICHETTI, Alla ricerca della via Cecilia, Roma, 1903, estratto dal Bullettino dell’imp. Istituto Archeologico Germanico, Vol. XIII , 1902 – pp. 193-220; Vol.XVII, 1906 – pp. 277-304.
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Qui si è salvato, essendo stato usato come sostruzione delle mura cittadine, una bel tratto di opera poligonale (nota 32). (Fig. 6)
Tutti questi manufatti potrebbero essere coevi e costruiti nel periodo repubblicano in una fase di consolidamento della conquista romana dell’amiternino.
La fittissima vegetazione di rovi, quasi impenetrabile, insieme ai ripidi versanti non hanno permesso un sopralluogo adeguato sugli altri resti, ma grazie alle foto (Fig.8) fornitemi da appassionati locali e scattate negli anni ’70 del secolo passato, possiamo avere una visione di massima anche di queste strutture.
Il secondo muro descritto dal Persichetti e disegnato dal Dodwell (Fig. 11 in basso a destra) già ai loro tempi era quasi scomparso, ed attualmente non è più rintracciabile.
Il terzo muraglione, alto più di 8 m agli inizi del ‘900, è quasi scomparso anch’esso, attualmente ne resta un breve tratto aderente al colle d’Ottone (Fig. 7 in basso). Le pietre, enormi, sono appena sbozzate sulla faccia esterna ma sono comunque incastrate l’un l’altra in modo abbastanza regolare denotando una certa cura del taglio, non sono presenti zeppe. Attualmente sono conservate cinque fila per un’altezza massima di circa 5 m. Nella fig. 9 sono indicati in rosso i conci rimasti (nota 33). In base ai rilievi del Persichetti, indicanti la sinuosità del muro, sembrerebbe un’opera idraulica costruita per la regolarizzazione delle acque. Si potrebbe ascrivere il muro al primo ordine del Lugli, ma la maggior rozzezza del manufatto, come ben noto, non è indicativa di una maggiore antichità (nota 34).
La valle, dopo questi resti, diventa particolarmente ripida e stretta e la sua conformazione, in caso di forti piogge, potenzierebbe l’effetto di eventuali piene. Alla quota di circa 680 m, la vallecola si apre sul conoide di deiezione e sulla pianura del fiume Aterno, il fosso passa sotto il Casino del Barone (nota 35), che è situato su un piccolo rilievo al riparo da eventuali straripamenti, quindi devia verso destra perdendosi nei campi verso il fiume.
Poco sotto il casale del Barone doveva passare la strada romana che collegava Amiternum a Pitinum in posizione più elevata e con un percorso più lineare rispetto all’attuale SS 80. Si ha notizia (nota 36) di diversi rinvenimenti di questa strada nei secoli passati (nota 37).
L’Antinori, nei suoi manoscritti, segnalava il ritrovamento nel 1753 di una grande villa romana adagiata nella pianura tra il corso “dell’Acquaoria”, il lago di Vetoio ed il “monte all’Oriente” (nota 38).
Diversi ritrovamenti di resti di ville indicano l’alta frequenza del territorio e l’intenso sfruttamento agricolo della pianura amiternina ai tempi dei Romani (nota 39). Sono noti i resti di ville rinvenuti durante la costruzione della caserma della scuola della Guardia di Finanza, così come a Coppito e Preturo.
Anche nella piana tra Acqua Oria e Canzatessa, direttamente sotto la Murata, si ha notizia di rinvenimenti di muri e pavimenti a mosaico (nota 40), insieme ad una fistula acquaria plumbea, relativa ad un antica conduttura, rinvenuta poco sotto l’abitato di Canzatessa ed attualmente dispersa (nota 41). La
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32 Questi resti fanno pensare ad una ben più notevole presenza di murature megalitiche nell’amiternino, almeno fin al XIII sec., di seguito, con la costruzione della città dell’Aquila, venne dato il definitivo colpo di grazia alle ormai fatiscenti rovine presenti nel territorio. E’ singolare come il tratto in questione sia stato utilizzato per ben due volte come sostruzione.
Alcuni autori hanno indicato questi resti come basamento della via Claudia Nova che passava nei pressi, le murature sembrano comunque più antiche anche se si denota una cesura tra la base poligonale e la seconda fila più regolare segno di un possibile intervento di regolarizzazione forse medievale. Si potrebbe anche pensare, ma siamo sempre nel campo delle ipotesi, ad una sostruzione di un tempio votivo dedicato ad una divinità delle acque, come indicato in L. MARTELLA, A. M. MEDIN, Le Mura dell’Aquila: appunti per una rilettura organica del sistema difensivo, in Misura, Rassegna trimestrale di abruzzesistica, a 1 n. 4, 1979, p.71.
33 Non sembrano presenti altri resti ma una parte potrebbe essere interrata o nascosta dalla vegetazione.
34 E’ diffiicile pronunciarsi sull’età di questi resti, abbastanza informi, certo è che i Romani sono sicuramente intervenuti su di essi nella generale opera di regolarizzazione della valle.
35 Trattasi di un casale di campagna del barone d’Arischia, ora in fase di forte degrado ed abbandono, si nota la cappella esterna, con degli affreschi e stucchi settecenteschi, trasformata in stalla. La torretta del casale ha uno spigolo formato da pietre che sembrano provenire da uno spoglio di edificio antico. Si nota anche la recente depredazione degli antichi portali in pietra.
36 G.LIBERATORE, Della navigabilità del Pescara 1834, Aquila, p. 93.
37 N. PERSICHETTI, Notizie degli scavi , anno 1892 p. 429 ss.
38 A.L. ANTINORI, Corografia storica degli Abruzzi e dei luoghi circonvicini, mss. Bibl. Prov. S. Tommasi L’Aquila – vol. XXXVII f. 44.
39 Del resto molti antichi autori danno testimonianza della qualità dei prodotti agricoli amiternini.
40 E. MARINAGELI, Pitinum: Mansio sulla Claudia Nova, BDSASP, XLVII – 1957-1960 LX p. 330.
41 S. SEGENNI, Amiternum ed il suo territorio in età romana, 1985, Pisa, p. 228.
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grotta detta di “Isabella”, poco sopra ad Acqua Oria, è stata interpretata come probabile criptoportico di una villa rustica (nota 42).
Pertanto non è azzardato dire che, analogamente ad altri siti (nota 43), le nostre murature possano essere state a servizio di grandi proprietà agricole (od anche di vici sconosciuti) ed usate per un più razionale sfruttamento del territorio a scopi agrari e zootecnici ma anche per la regolamentazione delle acque, per scopi irrigui e di protezione dalle piene.
Certamente non si spiega, visto con gli occhi attuali, l’ingente investimento economico in una zona, per cosi dire, marginale e poco adatta alle coltivazioni. Ma in un periodo con abbondante manodopera per lo più schiavile e forse con una felice combinazione di dati climatici e di sicurezza si pensò di razionalizzare ed allargare alle coltivazioni, ma forse anche di più ai pascoli, territori fino allora poco sfruttati. Si può portare ad esempio tipico, l’altopiano di Aielli sopra a Pizzoli (nota 44).
E fa piacere pensare che forse fu proprio in una di queste ville, adagiate nella pianura dell’Aterno, che si decise la costruzione di queste opere che ancora oggi, dopo più di duemila anni, ancora si mostrano così imponenti.
Vincenzo Baiocco
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Note
42 S. ZENODOCCHIO, Antica viabilità in Abruzzo, L’Aquila, 2008 p. 87.
43 L. QUILICI-S. QUILICI GIGLI, Interventi Di Bonifica Agraria Nell’italia Romana, Roma 1995, p. 129 ss.
La nostra Murata mostra alcune analogie con i resti, anch’essi sabini, rinvenuti lungo la via Salaria Nuova all’altezza del km 47,5. Essi sono stati oggetto di studi da parte del Quilici. Queste strutture murarie, di certo molto più imponenti in confronto alla Murata, presentano, a mio avviso, alcune caratteristiche che farebbero pensare ad una tipologia costruttiva sabina (i terrazzamenti nella vallecole montane, le murature trasversali al fosso, una villa, in quel caso sicura, e nel pianoro sottostante una importante strada come la via Salaria). Anche i grandiosi avanzi di terrazzamenti presenti sul monte Gennaro nei pressi di Palombara Sabina (RM) e oggetto di ricerche nello stesso libro indicano una tipologia costruttiva simile.
44 A. CLEMENTI, Amiternum dopo la distruzione, L’Aquila, 2003 pag. 106. (sembrano rinvenirsi, in questo altopiano, tracce di centuriazione romana e resti di unacondotta).
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-Immagini-