Ovindoli, San Potito, San Iona


Ovindoli fa parte della conca del Fucino,

Ovindolialtopiano delle Rocche

ma le sue origini sono pressoche’ ignote; forse fu un insediamento italico di rilevanza strategica per i Marsi, data l’importanza della conca in ogni epoca, in cui per la sua difesa furono sempre realizzate strutture difensive dei passi che le davano accesso.

Questo e’certamente evidente in epoca medievale (VII secolo con la sua gastaldia, nel IX secolo con la contea dei Marsi e poi nel XI secolo con quella di Celano), come dimostrano i resti di un impianto fortificato, riconducibile ad architetture di epoca normanna, rinvenute presso Ovindoli. In questo castello trovarono rifugio i fedelissimi di Tommaso (1222), nipote del conte Pietro di Celano, nella lotta contro Federico II per l’affermazione di una loro autonomia.

Sconfitto Tommaso (1223), i castelli di Celano, Ovindoli e S. Potito divennero proprieta’ di Federico II che fece radere al suolo i castelli esiliando i celanesi.

I manieri di Ovindoli e S. Potito furono in seguito (1268) ricostruiti dallo stesso conte Tommaso dopo la sconfitta degli Svevi da parte degli Angioini.

Di notevole l’attuale borgo ha la chiesa di S. Sebastiano detta poi della Vergine, costruita nei secoli XV e XVII, in cui e’ conservata come reliquia un pezzo del legno della SS. Croce e presenta,

nel suo centro medievale, una porta di accesso con arco gotico ed una porta detta Mutiati.

Adagiato sulle pendici di un monte, il sito dell’attuale S. Potito fu abitato già in epoca romana, come testimoniano i resti di una villa romana del I secolo d.C. la’ rinvenuti.

Nell’alto medioevo i conti Berardi della contea di Celano vi edificarono un castello a pianta poligonale cintato di mura che seguivano l’andamento del terreno, i cui pochi resti sono ancora oggi visibili nella parte alta del centro abitato di S. Potito; il castello aveva al centro un mastio dove risiedeva il feudatario e sembra che non presentasse torrette agli angoli.

Le notizie pervenuteci ci fanno sapere che questo borgo – castello era posseduto nel 1074 dai feudatari Nerino Bonomo e da suo cugino Bonomo di Erimanno, che fecero dono di alcuni loro beni all’abate di Farfa Berardo, assieme alla chiesa di S. Potito, prossima al castello stesso; in quegli anni S. Potito entro’ definitivamente nell’orbita farfense, come risulta da un attestato dei beni di Farfa emesso dall’imperatore Enrico V.

Nell’anno 1279 i castelli di S.Potito e di Ovindoli passarono al Conte Ruggiero.

L’insediamento di S. Iona fu realizzato nel XIII secolo in posizione strategica, lungo la strada, con una torre di avvistamento a forma circolare che presenta all’interno due vani sovrapposti, il primo con funzione di magazzino e cisterna per raccolta acqua piovana, il piano superiore accoglieva il corpo di guardia.

Al centro di Santa Iona sono presenti i pochi resti della chiesa medievale di S. Eugenia crollata nel terremoto del 1915.


Intorno all’anno 859-60 Ludovico II istituì i comitati in ‘Terra dei Marsi’, cioè nominò conti (comites), tutti i gastaldi della provincia Valeria, come riportato dalla cronaca vulternense (Chr. Vult.370).

Il castello di Ovindoli (Castrum Ovinduli) compare nello statuto svevo per le riparazioni dei castelli, in : F. PANARELLI (traduzione ) L’amministrazione dei castelli del Regno di Sicilia sotto Federico II e Carlo d’Angiò, Bari 1995. In questo castello soggiornò re Carlo prima di affrontare l’esercito di Corradino di Svevia.

CarloI d’Angiò, proveniedo dall’Aquila per affrontare nei Campi Patentini Corradino di Svevia, si accampò presso Ovindoli nel 1268.

Gli scavi archeologici, realizzati dall’Università dell’Aquila e dall’Accademia Ungherese delle Scienze, hanno portato alla luce resti di mosaico, pavimenti, tombe, affreschi e monete. La villa sarebbe stata di proprietà dell’imperatore Lucio (Aurelio) Vero, fratello di Marco Aurelio, ed era abitata ancora alla fine del III secolo.

Reg Far. Doc. 1017 , vol. V p. 20, In territorio Marsorumin loco qui dicitur Sanctum Potitum..

Reg. Farf.doc. 1041, a. 1072?-1079?

Reg. Farf. doc. 1318 , a. 1118.